Un nuovo studio dal titolo “Earlier collapse of Anthropocene ecosystems driven by multiple faster and noisier drivers“, pubblicato su Nature Sustainability, afferma che il collasso ecologico dovuto al riscaldamento globale potrebbe avvenire prima di quanto si credesse in precedenza. L’analisi modella il modo in cui i punti di non ritorno possono amplificarsi e accelerarsi a vicenda e sulla base di questi risultati, gli autori avvertono che più di un quinto degli ecosistemi in tutto il mondo, inclusa la foresta pluviale amazzonica, sono a rischio di un crollo catastrofico nell’arco di alcune decine di anni.
Va sottolineato come il principale organo consultivo scientifico delle Nazioni Unite, l’IPCC, sia più cauto su questo tema. Nel suo ultimo rapporto, infatti, si afferma la possibilità di un punto di non ritorno per la foresta Amazzonica entro il 2100.
La differenza del nuovo studio sta però nell’aver considerato le diverse minacce ambientali in combinazione, come ad esempio il cambiamento climatico, la deforestazione, lo stress idrico, il degrado e l’inquinamento dei fiumi dovuto all’attività mineraria. Nel complesso, il team, composto da scienziati delle università di Southampton, Sheffield e Bangor, oltre a Rothamsted Research, ha esaminato due ecosistemi lacustri e due foreste, utilizzando modelli computerizzati con 70.000 aggiustamenti di variabili. Hanno scoperto che fino al 15% dei crolli ecosistemici si è verificato a seguito di nuove sollecitazioni o eventi estremi.
I risultati dicono quindi che anche se una parte di un ecosistema viene gestita in modo sostenibile, nuovi stress come il riscaldamento globale e gli eventi meteorologici estremi potrebbero far pendere la bilancia verso il collasso.